1- INDIVIDUO E PERSONA.
Fino a non molto tempo fa, mi trovavo a mio agio con la parola "persona".
Oggi invece mi piace molto di più la parola "individuo", perchè è meno disponibile alla "maschera" ed è più "individuale", cioè più facilmente memoria di quei fattori che sono l' indivisibilità e l' individuazione.
L'individuo non è mai un'astrazione ma è quel soggetto di diritti (plurale) individuato dalla carta di identità che lo indica con nome, cognome, indirizzo, professione, caratteri del corpo.
L'uomo è sempre individuabile in atti: pensieri, parole, opere...
2- CORPO E ORGANISMO.
Il secondo passaggio del mio pensiero è la distinzione non già tra corpo e anima ma tra corpo e organismo.
L'individuo è quel soggetto di Leggi che, nato come semplice organismo, è fatto miracolosamente corpo (e per sempre) dall' atto di un altro che lo tratta bene e lo cura: lo tratta non col trattamento scientifico che manipola il corpo-organi (tra cui l'organo-psiche) ma con il trattamento d'amore che muove desideri e domande.
3- DESIDERIO E BISOGNO.
L'uomo nasce sano.
Ed e' subito soddisfazione.
Perchè l'uomo, che con buona pace di tutti nasce bene, rimane solo per pochi istanti l'uomo della natura (l'uomo degli istinti e delle mancanze): basta anche "una balia per pochi dollari" e già l'uomo è immediatamente, per offerta dell'altro, un "aldilà della natura", "un accaduto", "un fatto".
Un fatto (come si dice "fatto da...) che non piangerà più per il "bisogno" del cibo (ovvero per la mancanza) ma per il desiderio e il piacere di mangiare (ovvero per una voglia di ricchezza senza confini).
Appena nato, l'uomo è subito corpo già soddisfatto da un altro e quindi soggetto di desiderio, soggetto già agente per una ulteriore offerta di soddisfazione.
4- SODDISFAZIONE E MANCANZA.
Qualunque realtà, fosse anche uno stato o un dio, si ponga come possibile riferimento per un uomo definito come mancanza o come impotenza o come insoddisfazione, è di fatto una tentazione perversa: tossicodipendenza dei popoli (oggi più dell'oppio si potrebbe più alla moda consigliare il "viagra").
L'uomo non ipotizza un dio e tantomeno segue un Dio, come "soluzione" ai suoi "bisogni" (promessa di onnipotenza per l' impotenza): l'uomo segue Dio solo perchè essendo già soddisfatto a mezzo della bussola che fin da bambino lo ha orientato, conosce che ogni ricchezza ulteriore è possibile unicamente continuando ad agire da soggetto dentro un patto, un appuntamento.
Un appuntamento in cui accade per il proprio piacere, per grazia, l'investimento da parte di un altro.
La così comprensibilissima frase di Gesù "a chi più ha più sarà dato" resta alla fine solo scandalo per i teorici dell'uomo-insoddisfatto o dell'uomo-mancante (da non confondersi con il "povero", cioè il domandante, del Vangelo).
Dio, almeno quello che ha fatto e fa universo (cioè fa "cattolico") non si pone come il Dio dei poveri mendicanti ma il Dio dei ricchi domandanti ("quale sarà il padre che non darà al figlio che chiede...": dove "il figlio" è già "un ricco" in quanto già da tempo figlio ed erede).
Sono i falsi "ricchi" non domandanti più nulla (oggi diremmo "i borghesi, gli arrivati", i "ricchi per imitazione mass-mediale"), i falsi "ricchi" già alienati nella loro "equilibrata ricchezza" (chi si accontenta gode... e i cocci sono suoi), quelli che molto probabilmente per fare tornare sempre bene i conti e non fare il passo più lungo della gamba, rinuncerebbero subito a passare la cruna di un ago.
5- COMPETENZA E LIBERTA'.
Il vero ricco, cioè l'uomo che si muove con la bussola del bambino, dentro quella Legge di Natura costituita dopo il primo piacevole accaduto ("agisci in modo tale da continuare ad essere soddisfatto dall' altro"), è l'uomo che si muove e agisce come figlio e come erede universale (senza confini fino al "Regno dei Cieli").
Questo è un uomo "competente", nel senso che tutto nell'universo è di sua competenza e per il suo piacere, tutto gli appartiene.
E' un uomo che agisce da sovrano, un re nel cui giardino l'"erba voglio" cresce benissimo e più rigogliosa che mai.
E' un uomo cui, agendo così, urge come conseguenza, la massima libertà dell' azione.
La libertà, segue quindi la competenza.
Il problema è quindi forse più comprensibile se invece di dire "dammi la libertà di agire" dico
"poichè già agisco non puoi che riconoscere la mia libertà".
E' necessario togliere a tutti i costi l'antico equivoco che alla libertà segua la possibilità di competenza, che la libertà cioè la faciliti: la competenza è solo l'esito di quel primo accaduto di soddisfazione nel bambino e, in seguito, solo l'esito della memoria di esso (salus).
Una libertà senza il presupposto reale di una competenza già in atto è solo un'illusione e alla lunga un inganno (anche per chi la ottiene).
Questa è il senso, cioè la direzione culturale della grande intuizione del "principio della sussidiarietà" .
6- SUSSIDIARIETA' E CENTRALITA'.
Il concetto di "sussidiarietà" coincide con quello di "laicità" in uno stato che riconosce la competenza individuale.
Per questo è probabile che insieme a una resistenza ideologica al principio della sussidiarietà, si tratti in molti casi di una "resistenza psichica" o più gravemente di una avversione al concetto di competenza individuale così come è stata precedentemente definita.
E' probabile si tratti non prima di tutto di mala-fede ma di
"mala-sanità" individuale e sociale, cioè di quella "malattia comune", di quella "miseria comune" di cui Freud parla da tempo (e sempre più con ragione) finendo per nominarla con il termine "nevrosi" in attesa di trovarne uno migliore.
Se questo è vero, ci sono due conseguenze:
a) arrivare a qualunque eventuale successo nell'affermazione del principio di sussidiarietà (se il Ministero della Pubblica Istruzione riconoscesse per esempio il "diritto" della parità delle scuole pubbliche statali e non statali) senza avere compiuto reali passi avanti nel pensiero della propria competenza individuale e quindi universale nei confronti del reale, è fuorviante (proprio nel significato di mettere fuori dalla direzione utile);
b) solo aprire un dibattito ampio su questi temi offrendo a chiunque lo desideri i contenuti per una elaborazione e una conclusione personale, supera i confini della battaglia culturale e politica per comprendere anche i vantaggi e la convenienza di una corretta difesa della competenza individuale e comunitaria costituendo quindi un vero atto di libertà per tutti.
E' qui solo il caso di ricordare che c'è una sola e unica centralità che non è quella dello stato o della comunità ma quella dell'individuo competente, cui ogni comunità può solo offrire i mezzi e gli spazi per agire.
Questo vale non solo per lo stato ma per chiunque, per qualunque soggetto che si ponga di fatto nella posizione di "sensibilizzatore", o di "educatore" (o di "quant'altro") di qualcuno.
Anch' io, mentre sto scrivendo, mi accorgo che queste idee sono da pensare come semilavorati: come un paio di scarpe offerte in una vetrina a disposizione di chi desideri prenderle per camminarci, elaborarle ulteriormente, farne comunque ricchezza maggiore per entrambi, come sempre accade tra buoni soci.
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