Che della fondazione di Mantova si tratti (Dante, Inferno, XX) o della ri-fondazione di una classe prima del Istituto Tecnico "Manzoni", poco importa in questo scritto.
Sullo stesso tema mi pare si lavori: cioè sull' incontro, giuridico, tra soggetti, per la costituzione in "loco" di una città, con suo statuto, a misura di libero pensiero, per una meta di guadagno e di soddisfazione.Oggi non è così frequente la fondazione di una Mantova o di una Roma, ma so di certo che almeno in ogni scuola del regno
(finchè ci sono ancora bambini), a settembre di ogni anno, il miracolo si rinnova: nasce una classe nuova.
Insegnanti, siamo noi i primi soggetti chiamati e chiamanti dentro questo accadere di novità.
UN GIOCO DI STRATEGIA …E non è accadere di poco valore l' accogliersi ad un loco.Ho visto in questi giorni di vacanze pasquali i miei figli impegnati con il pc in un gioco di strategia (mi sembra si dica così): la fondazione di una nuova "realtà abitativa".
Il gioco inizia tra aspre o incantate terre, alte montagne o disponibili e ampie pianure dove puoi essere tu a scegliere un loco, dove stabilire prima di tutto la tua famiglia e la tua casa.
Si tratterà poi di costruirvi intorno tutto quello che può fare "accogliente" un loco: altre case ("a misura d'uomo"), profondi pozzi (comodi da raggiungere), acquedotti (che la diano calda e subito), fortificazioni (che garantiscano la lontananza del nemico), chiese per ogni dio (molto pluralismo e molta tolleranza), prati (per pic-nic), campi (per agriturismo), lavoro (poco), soldi (pochi, maledetti e subito)…E la gente verrà.Da tante strade diverse, come piccole formiche, all'improvviso il paesaggio si anima: tanti piccoli uomini e piccole donne vengono da lontano con i piccoli carri e le loro piccole cose ad abitare la città appena fondata.
Ma attenzione: solo se essa è "accogliente".
E durante il gioco ti fanno capire a tue spese che "accogliente" vuole dire che la città è ben organizzata, efficiente, ben progettata: dove tutto è… oggi si dice "ergonomico"… al posto giusto, a portata di mani e di piedi (mi è venuto voglia di dire "a portata di pensiero", soluzioni pre-cotte), senza fare mai troppa fatica."Accogliente" vuole dire che c'è un progetto per tutto: i servizi sono funzionali e documentati (è previsto anche come fare ricorso), il territorio ben suddiviso in moduli, le risorse (anche quelle umane) ben sfruttate, gli uomini attrezzati ad affrontare le difficoltà (e in allenamento per i miracoli), i soldati ben addestrati per respingere il nemico, le agenzie territoriali onnipotenti per prevenire disagi e dispersioni.
Persino gli dei, se ti organizzi bene la preghiera e i riti, saranno benigni nei tuoi confronti e non manderanno troppi guai (l'unico spazio di disorganizzazione rimane un inspiegabile e imprevedibile terremoto: un piccolo spazio riservato al destino avverso che nessuno oserebbe mai nominare "mistero").
Ma se non saprai fare della tua città una città "accogliente", ti ritroverai rapidamente solo: i piccoli uomini e le piccole donne scapperanno veloci come sono venuti, con i loro piccoli carri e le loro piccole cose alla ricerca di un'altra città più "accogliente" della tua.
Fin qui il gioco.
… O UN ACCADERE DI RAPPORTI E ATTI ? E la realtà ?
Qualcuno che mi è stato padre mi ha insegnato che la prima cosa conveniente è essere realisti e ho cercato di trarne beneficio nel mio quotidiano agire.
Ho lavorato per venti anni a "fare accoglienza" nella mia scuola (con grossi successi personali con alcuni colleghi, con alcuni genitori, con qualche studente e specialmente nell'entusiasmo delle istituzioni) ma con vantaggio reale per nessuno.Anzi, mi sono accorto che ho lavorato contro (annoto soltanto che il moto a luogo di "ad" è quel "verso" che può anche essere "contro").
Ho quindi smesso di "fare accoglienza" e sono diventato un pentito.
Perché ho pensato che nel gioco… non quello del bambino che è ben altra cosa… ho pensato:
1- nel gioco si inter-agisce, nella realtà della vita ci si relaziona.
2- nel gioco si facilita l'abitare, nella realtà della città si ospita.
3- nel gioco si cerca il con-vivere, nella realtà si è soci.
4- nel gioco si progetta, nella realtà si abita.
5- nel gioco si pre-dispone, nella realtà si risponde.
6- nel gioco si conserva, nella realtà si conclude.
E così ho ricapitolato.
Sono un pentito del "fare l' accoglienza" perché sto imparando, con amici, a essere accogliente io.
Chi vuole, può qui "raccogliere" le poche seguenti, ulteriori, spiegazioni.
PRIMISSIME CONCLUSIONI:
La vita, anche nella scuola, non è una interazione tra ruoli: "accogliere" non è facilitare l'accettazione del proprio ruolo o essere addestrati a inserirsi "adeguatamente" nell'istituzione.
In quel malaugurato caso, "accogliere" si ridurrebbe a "stringere, legare", impedire il movimento, frenare il moto individuale fornendo la super-legge della descrizione-apprendimento dei propri diritti-doveri di studente (regime di puro comando).
E non sto predicando l'anarchia: sto anzi rimandando ad una ben più impegnativa legge, che è la legge dei rapporti tra persone con appuntamenti, contratti e sanzioni (premiali e penali).
Non sto neppure pensando un "buon istinto originario insito nella natura umana": sto solo richiamando la fiducia nel pensiero dell'altro, legge già posta che permette di dire "fa quello che desideri".
Legge già posta nell'atto di accorgersi che non ci si è fatti da sè: prima evidenza della ragione (anche nel più disastrato alunno che mi si pone davanti).
"Accogliere" non è "stai al tuo posto" né tantomeno "impara qual è il tuo posto" ma agire in modo tale che dal proprio posto di soggetto l'alunno possa continuamente muoversi nel rapporto con me per realizzare un incontro soddisfacente di pensiero e di lavoro.
Non accada che "accogliere" sia un "impetum colligare" ("frenare il cammino") che lavora contro la possibilità di quella risposta imprevista e imprevedibile che è la vita di ogni rischio educativo (quell' imprevedibile che sarebbe follia sperare, come ricorda Montale in una sua poesia).
La vita della scuola, sia piuttosto un "animum et spiritum colligere": un continuo riprendere fiato e coraggio che non ha bisogno di "accoglienze" particolari, ma di quella normale, cioè
normata, e sana accoglienza che è l'aver cura o amare.
Il che non è del ruolo e dell'interazione tra ruoli, ma solo del soggetto e del rapporto tra soggetti.
Il muoversi liberamente dal proprio posto di soggetto per entrare in relazione con un altro e agire in modo tale da averne soddisfazione, si chiama agio.
Sarebbe interessante un giorno svolgere il tema del perché la scuola dell'istituzione parta sempre dal porre i problemi e non dallo stare bene: per esempio "disagio" invece di agio.
La risposta è che l'uomo è pensato da chi ci governa come essere che nasce malato: da cui attesa di malattia, prevenzione ecc.
Invece l'uomo nasce sano e im-mediatamente in rapporto con l'altro: per questo ogni atto educativo parte dalla fiducia nel pensiero e nell'agire del soggetto.
Per questo posso desiderare di ospitarlo (ecco la vera accoglienza) e ascoltarlo: non nei suoi bisogni ma nelle sue domande, cioè nei suoi desideri.
E per il fatto stesso che mi sta davanti, lui è e pone domanda.
Non domanda né di conoscere l'ambiente, né di essere sostituito nel lavoro della conoscenza dei suoi compagni (cosa che può fare benissimo da solo, anzi è più bello), né di essere prevenuto in qualche presunto e inesistente trauma da cambiamento di scuola, né di essere ascoltato da professionisti dell'ascolto, né di essere già inquadrato e fotografato nei suoi problemi o nei suoi livelli di partenza…Si è "iscritto" a rapportarsi con me, in libertà, da soggetto libero, da libero pensatore.Sta a me accogliere la sfida, il rischio dell'educazione e prendermi cura di lui, cioè riconoscere nella mia competenza la sua competenza e rispondere con una risposta soddisfacente alla sua domanda reale (sia nel realismo sia nella regalità), di avere un buon socio nel reale.
Che è già una grossa novità per una scuola che si sente viva solo quando inventa e progetta risposte a domande che non riesce neppure non dico ad ascoltare, ma neppure a immaginare.
Chi si iscrive ha già fatto un investimento.
Se lo ospito e ascolto, lo facciamo insieme.
Egli è mio ospite, io suo prossimo e il nostro un rapporto buono perché abbiamo giudicato conveniente, calcolato, acquistato (chi è l'uomo che se trova un tesoro in un campo non lo compra… ?) un lavoro, un'opera comune per beneficio di entrambi.Se spesso a scuola ci si accorge che accogliere è
"naufragium colligere", cioè "raccogliere naufraghi" di precedenti delusioni causate da adulti ed educatori poco significativi o indegni, l'importante è che tutto non finisca in un "colligere vasa", cioè "fare i bagagli" anche dalla scuola.
E questo non per il comando di "evitare la dispersione", ma per il desiderio di soddisfazione e bellezza che c'è in ogni relazione, anche in quella educativa.
Bellezza che non è altro che la forma di un rapporto ricco, quindi vero (accogliente per sua norma).
SUGGERIMENTI ETIMOLOGICI CUI CI SI E' LIBERAMENTE RIFERITI:Accogliere: ospitare, fare prossimo, ricevere in sé, contenere (tenere dentro sé), accettare, dare risposta soddisfacente, raccogliere.
Colligare: unire, congiungere, impedire di muoversi, frenare (frasi frenare la marcia: impetum colligare)
Colligere: raccogliere, riunire, acquistare, restringere, chiudere, riunire calcolando, richiamare alla memoria, considerare, giudicare, (riprendere fiato e coraggio: animum et spiritum colligere; raccogliere i relitti di un naufrgio: naufragium colligere; fare i bagagli: colligere vasa)
Ad: moto a luogo verso o contro; stato in luogo presso vicino a davanti a; tempo fino a verso; relazione per; scopo in vista di; oltre in aggiunta.
|