Gianpietro Séry

Chi mi ama, tratta bene il mio pensiero


Il pensiero è il lavoro di un soggetto che opera per la costruzione di una società per azioni.
Un lavoro particolare che prepara la possibilità della conclusione del proprio moto nella soddisfazione e nel guadagno per mezzo di un altro.
Un qualche (ma non qualunque) altro, in rappresentanza di quell'universo vissuto, pensato dal soggetto come inesauribile fonte di piacere.
 

Ipnosi e amore

1- Il pensiero
Il pensiero è il pensiero elaborante quella legge che permetta la soddisfazione, quello che Freud chiamava il principio di piacere.
Il pensiero lavora perché avvenga la soddisfazione di ogni moto del corpo attraverso le relazioni con l'altro.
Nei rapporti soddisfacenti non si pensa per l'altro, cioè al posto o dal posto dell'altro: sarà lui a pensarci (bene o male).
Nei rapporti insoddisfacenti invece si pensa troppo e si pensa male anche al posto dell'altro.
Sino al momento in cui non si pensa più che l'altro pensi.
Per questo accade che non si lavora con l'altro ma si interagisce, ci si comporta, si comanda in una relazione ridotta ormai solo a organizzazione e dispositivi.
E' il "penso a tutto io" della patologia, nascosta dietro il paravento dell'amore.
Ciò che nella normalità è lo stupore che segue un lavoro del soggetto, lì è comando.
Così anche chi dovrebbe essere padre (o madre), strappa via dal reale, dalla realtà sensibile, perché pensa che il bambino non sia capace di pensarla bene.
"Ma in fondo, che cosa si vuole che possa capire un bambino ?".
Freud è stato il primo a ridare questa dignità al pensiero.
E la salute (salvezza e guarigione, come sinonimi) altro non è che la restituzione del potere legislativo ed esecutivo al pensiero.
Al pensiero proprio e al pensiero dell'altro.
L'uomo sano pensa bene del pensiero suo e del pensiero dell'altro.
Pensa bene perché sa anche giudicare quando pensa bene o pensa male.

2- Come accade che il soggetto pensi male: una storia con un inganno e un errore
E' il giudizio dunque quell'atto del pensiero in cui si riconosce chi mi tratta bene e chi mi tratta male, chi mi soddisfa e chi no, chi mi arricchisce e chi mi immiserisce.
Ecco perché chi mi tratta scientificamente mi perde.
Tra poco parlerò di come nascano questo pensiero e questo giudizio nel bambino, ma ora mi soffermerò un momento sul come e sul perché invece questo giudizio sia perduto.
Cioè su come accada che il pensiero sia ingannato e cada in errore.
Mai immaginarsi un trauma !
L'unico trauma è la sfiducia nel pensiero: e giunge sempre soft, da un serpente di casa, dello stesso giardino, un sussurro suadente, un incantevole richiamo all'amore sublime.
I traumi non sono le bombe o i lager, la violenza o la morte: l'unico trauma è l'inimicizia di un altro nei confronti del principio di piacere già costituito.
Al bambino che pensa e pensa bene, qualcuno, un altro non qualunque, propone un suo pensiero di troppo, una aggiunta patogena, ammalante, perché mette in discussione che il pensiero precedente fosse buono, cioè economicamente conveniente e più che sufficiente per concludere un atto con piena soddisfazione.
Per esemplificare questo passaggio, mi permetto di fare uso di un piccolo brano tratto dalla scenografia di un recente film con R. Benigni, intitolato "la vita è bella" (il corsivo è mio):
 

il bambino: "Ci bruciano tutti nel forno"
il padre: "Ma chi te l'ha detto ?"
il bambino: "Un uomo s'è messo a piangere e ha detto che con noi ci fanno i bottoni e il sapone"
Guido (il padre) scoppia ridere.
Il padre: "Giosuè ! ci sei cascato un'altra volta. Eppure ti facevo un ragazzino vispo, furbo"
Ovvero: Non ti facevo così cretino, non devi lavorare su ciò che ascolti.
Il bambino: "No basta babbo, io voglio tornare a casa"
Il padre: "Quando ? Va bene, se vuoi andare a casa andiamo"
Il bambino: "Si può andare ?"
Il padre: "Certamente ! Non crederai mica che tengono qui la gente per forza. Ci si ritira, ci si cancella. Peccato perché eravamo primi."
Ovvero: Se finirà male sarà per colpa tua.
Il padre: "… il carro armato lo vincerà un altro bambino…"
Il bambino: "Quale ? Non ce n'è più di bambini, sono solo !"
Il padre: "Non ce n'è più di bambini ? E' pieno così ! Zeppo di bambini"
Ovvero: Tu vedi male, i tuoi sensi ti ingannano.
Il padre: "E' un gioco serio"
Il bambino: "Non ci capisco niente con questo gioco…".

Accade allora che, non per pensiero debole ma per ingenuità (l'ingenuità è il peccato originale laico), accade che il soggetto rinunci al suo pensare bene per fare posto al pensiero di troppo dell'altro.
E passa così dall'inganno attivo altrui a una accettazione passiva propria, cadendo in un errore di pensiero che è una sfiducia nel pensiero ed è l'inizio della malattia.
La possibilità dell'errore è permessa dalla paura di perdere l'altro, dal desiderio di salvare comunque il rapporto con lui, anche aderendo all'inganno.
"Mi ama perché è mio padre" non è lo stesso del pensiero della legge "mi ama perché mi tratta bene, tratta bene il mio pensiero".
Del soggetto si potrebbe dire, con Manzoni: "lo sventurato rispose…".Con la forzatura del voto di sfiducia nel proprio pensiero.
E non solo la risposta è "forse ho pensato male, io penso male come dici tu", ma arriva, come ricorda la Dott. Raffaella Colombo, sino al dubbio sulla stessa legge di piacere già da tempo posta: "forse ho sbagliato credendo di muovermi bene, forse è come dici tu" cioè a dire "forse non esiste neppure la possibilità di soddisfazione".
E tutto ciò che prima era pensabile, cioè letteralmente "tutto" in quanto universale (difesa compresa), ora diventa impensabile e ci si ammala: "questo è impensabile" è la frase più ricorrente nella psicopatologia.
Più tardi, dopo un periodo in cui Freud diceva "sembra non accada niente" (periodo di latenza), con l'accadere di quel fatto che è la pubertà, il soggetto diventerà attivo nella malattia e costruirà con piena capacità di intendere e volere, quindi con imputabilità, la propria psicopatologia.
E' chiaro che per ammalarsi occorre il pensiero, cioè occorre starci, decidere di pensare male.
Ecco perché ho parlato di imputabilità: come ricordava Giacomo Contri, c'è sempre imputabilità nella psicopatologia.
Il che non è un giudizio stroncante ma liberante: perché è proprio l'imputabilità nella propria malattia che, una volta riconosciuta (come per esempio nel lavoro psicoanalitico), consente anche di guarire, con una correzione dell'errore del pensiero.
Il passaggio all'errore del pensiero è descritto molto bene nella presentazione del testo "a non è non a", a cura di Pietro R. Cavalleri:
"La corruzione iniziale del principio di piacere corrisponde all'interruzione della sia pure solo presupposta innocenza iniziale e al suo precipitare nell'ingenuità.
Un' ingenuità che risulta non dalla mancanza di difesa ma dalla rinuncia alla difesa. C'è un inganno da cui si rinuncia a difendersi, un inganno così caratterizzato: al bambino che mangia, che sta mangiando, che smetterà di mangiare quando sarà sazio e poi ricomincerà, che ha tutti i motivi per farlo volentieri e non ha alcun motivo per non farlo -eccetto che non gli piaccia e allora ha un buon motivo, non è da dimostrare il principio di piacere -, a un tale bambino qualcuno dice "mangia che ti fa bene".
E' l'atto di adduzione di una ragione al mangiare: il bambino ne aveva già la ragione, era il principio di piacere; addurne un'altra equivale a sconcertare, a dare il via all'inganno."
Come descrive in un suo scritto sul pensiero la Dott. Raffaella Colombo, tre pensieri sono attivi nell'inganno e nell'errore:
- da parte del soggetto: il pensiero normativo che fino a quel momento andava bene;
- da parte dell'altro: l'inganno, la presa di comando, appellandosi a una legge esterna, magari divina;
- da parte del soggetto ingannato: il pensiero ridotto a cogliere soltanto cause ed effetti, cioè l'abdicazione del soggetto che passa dal pensiero di natura alle leggi della natura, cioè fa il passaggio alla teoria della causalità che sostituisce il pensiero della imputabilità ("io sono fatto così", "io sono così perché mi è capitato che…", "era destino, non poteva che capitarmi così").
Nella malattia è evidente che la ripetizione ossessiva è la continua estenuante ricerca delle cause della propria patologia, ricercate ovunque tranne che nell'io e nella propria imputabilità.

3- Il primo giudizio: costituzione della memoria
Vorrei avviarmi verso le conclusioni riprendendo quanto avevo messo da parte prima, per concludere non sul pensiero malato ma su quello sano: come inizi il pensare bene del bambino (ciò che da adulti è possibile compiere nell'atto della cura e della guarigione).
Il primo giudizio, è un pensiero passivo, è una conoscenza del corpo, è un incontro con un altro in cui si costituisce una memoria.
Freud chiama questa memoria in due modi:
prima, la chiama "pulsione",
poi, nella crisi della malattia, la chiama "inconscio": ossia memoria misconosciuta dalla coscienza.
Comunque Freud opera per ben distinguere la pulsione da un istinto: l'uomo nasce poverissimo di istinti tanto quanto è fatto ricco di pulsioni.
Il primo giudizio ha come sede il corpo: è un "va bene così" in cui l'altro e il piacere che ne deriva vengono accolti come coincidenti.
Si tratta quindi di un atto nel soggetto, una prima imputazione premiale all'altro, nella evidenza che la soddisfazione non si fa da sé ma è merito di qualcuno, in un rapporto.
E' il caso del bambino allattato che giudica il piacere dell'offerta di latte come soddisfazione imputabile alla madre stessa, offerente, in rappresentanza dell'universo.
E' in questo giudizio che è posta, istituita la legge, il principio di piacere che Giacomo Contri chiama il "pensiero di natura" e che è formulabile con la frase "allattandomi, qualcuno mi ha eccitato al pensiero (eccitamento, vocazione, bisogno) di essere soddisfatto per mezzo ("oggetto": lavoro) di un altro ("meta": soddisfazione)".
Cioè a dire: "opera in modo da ricevere soddisfazione, mettendo in moto anche il lavoro dell'altro".
All'esatto opposto della malattia comune che recita a soggetto la pretesa e la delusione nei confronti dell'altro, il principio di piacere è il principio economico ed etico di una offerta e della conseguente domanda.
Principio che è possibile riassumere in due passaggi:
- costituzione della memoria
- lavoro del desiderio che agisce nella domanda.
E' così chiarito che la domanda è un atto di potere: la domanda non è mai una mendicanza da mendicante perché non parte parte mai da una mancanza ma parte sempre da una ricchezza già goduta su cui è possibile un ulteriore investimento.
"A chi più ha, più sarà dato": è la parola non comprensibile in quel regime di povertà che è la malattia.
La prima legge, il primo principio di soddisfazione non nasce quindi con l'uomo, non è iscritto in qualche parte del suo corpo ma è l'esito di un giudizio che costituisce vero e proprio atto legislativo nell'istante stesso in cui l'universo, di cui l'altro è rappresentante, è colto dal soggetto nell'evidenza della sua possibilità illimitata di beneficio: colto e istituito come memoria e quindi come legge di moto.
Un secondo giudizio elabora ulteriormente il primo.
Ma faccio prima un nota bene.

NOTA BENE: L'aldilà del corpo.
Noi parliamo di "aldilà del corpo" per dire che c'è all'inizio un vero e proprio atto legislativo per cui la carcassa umana (carne e sangue) non è più organismo ma è costituita corpo (il corpo dei desideri, il "corpo pulsionale" di Freud).
Come dire che il mio pensiero riguardo al piacere di mangiare e di bere costituisce il mio "stomaco nuovo" e il mio vecchio stomaco inteso come organo e la fame conseguentemente intesa solo come istinto rimangono disponibili solo come limiti al pensiero posti dalla psicopatologia (vedi anoressia).
Il passo successivo dell'aldilà del corpo è l'assenza di limiti al pensiero.
E' ciò che si permette il sogno, è ciò che si permette il lapsus, mentre la parola del nevrotico è piena di "non me lo posso permettere" (ciò che impedendo quindi la soddisfazione, spinge poi al godimento comandato della trasgressione).

4- Secondo giudizio: pensiero e atti della memoria
Il secondo giudizio è una conoscenza del pensiero, è pensiero attivo: un giudizio che con piena autonomia giuridica del soggetto, pensa la legge già istituita come memoria mantenendola attiva e completandola.
Questo completamento consiste:
a: nel cogliere l'altro come soggetto a sua volta di altri rapporti,
b: nel cogliere l'altro come soggetto di altri rapporti intesi come rapporti sessuati tra uomo e donna,
c: nel distinguere l'altro dagli atti che compie,
d: nel giudicarlo (sanzionandolo) a partire dalla propria, pensata e attiva, legge di piacere.
E' in questo secondo giudizio che, completando il primo (non come sviluppo ma come storia) si distinguono uomo e donna, amici e nemici, atti appaganti da atti ostili.
E' ciò che fa un bambino normale: "normale" significa la capacità di porre norme, leggi, ossia "statuire rapporti sanzionati secondo il merito" (G.Contri), in un regime economico-giuridico di appuntamento con piena competenza del soggetto (che appartiene totalmente alla prima città senza bisogno di alcuna autorizzazione da parte della seconda).
Nella malattia, al posto della "normalità-normatività" c'è l'organizzazione, il dispositivo, in un regime fallimentare-penale di comando con pensiero di incompetenza (dove non rimane che il chiedere permessi e autorizzazioni alla seconda città, sino alla abdicazione totale del proprio posto di soggetto).
O il pensiero è giuridico o è ab-norme: scienza fisica, dispositivo, patologia.

5- La fiducia nel pensiero
E' giunto il tempo delle conclusioni.
Se come ricordavo prima leggendo Pietro Cavalleri, per il bambino che sta mangiando bene, inganno vuole dire il pensiero di troppo "mangia che ti fa bene", allo stesso modo, a Tommaso che agisce in modo tale da favorire il suo pensiero e la sua fede domandando una ulteriore possibilità di giudizio (possibilità, peraltro, già fornita a chi era stato presente nello stesso luogo solo otto giorni prima, Giov. 20, 24-29) qualcuno potrebbe facilmente porre obiezione e dire (e forse lo ha fatto) "credi che ti fa bene".
E qualunque sia poi il contenuto di quel "bene", di un inganno anche qui si tratterebbe e l'inganno consisterebbe come sopra nel fornire un motivo (oggi si dice "motivazione") assolutamente non necessario, un motivo in più, in eccesso rispetto al già più che sufficiente pensiero di Tommaso e al moto che l'accompagna.
Inganno cui Cristo non consente neanche per un istante: accogliendo invece pienamente il desiderio e la domanda altrui, con una fiducia nel pensiero dell'altro rintracciabile facilmente nella posizione della mano che consente docilmente al moto soddisfacente del braccio nello splendido quadro di Caravaggio.
Che poi Cristo portasse ancora più avanti il pensiero aprendo la prospettiva sul poter credere per la parola dell'altro, era perché di buoni soci in affari si trattava e nulla toglie al fatto che quel discepolo è stato trattato bene.

 

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