Intervento al Seminario psicoanalitico di Genova:
"Curare, educare, governare, amare, sapere - le impotenze e il passaggio alla guarigione"
terza seduta: "amare è o ha una tecnica ?"
Sala conferenze Associazione Italo Americana, 21 marzo 1998.
Mi sembrava che a questo punto diventasse quasi evidente che stiamo continuando a parlare di impotenze e di impossibile e stiamo continuamente ritornando alla legge, al pensiero di natura.
Questo mi sembra molto significativo, nel senso che è proprio vero che non si può dividere in sfere: la sfera dell’amore, la sfera dell’educazione, ma tutto è riconducibile soltanto a questa legge.
Visto che si è parlato di canzoni, mi è venuta in mente un’altra canzone di Gino Paoli, degli anni ‘60, che si intitolava Io e tu e che secondo me dice benissimo qual è la posizione malata:
"Io e tu non esistono più. Oggi è nato un noi, un meraviglioso noi, che ci unisce e ci lega nella stessa catena".
A me sembra che sia importantissima questa cosa qua, perché io e tu sono le due posizioni di Soggetto e Altro.
Se non esistono più, è perché c’è il tentativo di costruire un noi sublime — "questo meraviglioso noi" — che poi è il discorso sul matrimonio che faceva la Dott. Raffaella Colombo, dove a un certo punto la tecnica diventa un dovere e va a tutti i costi individuata per poter costruire questo noi sublime.
Nell’inseguimento di questo noi sublime, la catena consiste nel fatto — come la catena si mette ai carcerati perché non si possano muovere — che non c’è più moto: là dove il moto coincide esattamente con la tecnica.
La tecnica è il moto fra Soggetto e Altro.
La ricerca di questa specie di unità, di posto di virtuale fra Soggetto e Altro che è questo noi, sublime, irraggiungibile, invece di essere fonte di moto, è proprio ciò che fissa, ciò che blocca, ciò che impedisce il moto.
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