Intervento al Seminario psicoanalitico di Genova:
"Curare, educare, governare, amare, sapere - le impotenze e il passaggio alla guarigione"
quinta seduta: "sapere, saperi e università"
Sala conferenze Associazione Italo Americana, 23 maggio 1998.
Mi è capitato in questi giorni di leggere una cosa abbastanza divertente che si collega con quello che il Dr. Glauco Genga ci diceva oggi.
Un certo Buoncompagno da Signa, parlando del medioevo, riporta una lettera scritta da un padre a un figlio universitario:
"Ti supplico, dunque, o figlio, di trovare il giusto mezzo nello studio, perché non vorrei che poi qualcuno mi dicesse
' Ho saputo che tuo figlio è ritornato, cinto dal serto della scienza
' e io fossi costretto a rispondere: ' In verità, è diventato dottore, ma per eccesso di studio è morto
' oppure ' è ammalato senza speranza ' oppure ' ha perso la vista
', oppure ' Sì, ma ora è impazzito ' ".
Ho avuto l’avventura o sventura di partecipare in questi giorni a un convegno sul disagio scolastico e mi sembra significativo che questo disagio parta dal medioevo e arrivi sino a oggi.
D’altra parte, le soluzioni trovate anche nel medioevo sono molto simili a quelle attuali.
Un professore medievale scrive:
"Un edificio scolastico deve essere costruito in luogo aperto, dove ci sia aria pura.
Deve essere lontano dai luoghi frequentati dalle donne, dai clamori, dalla piazza, dallo strepitio dei cavalli, dai canali, dai cani che abbaiano, dai rumori nocivi.
La larghezza e la lunghezza dell’edificio devono avere le stesse dimensioni; circa le finestre devono essere né più né meno di quante ne occorrano per una corretta illuminazione.
È bene che l’alloggio sia al piano superiore, etc.".
Io ho anche avuto la sventura di scrivere delle cose simili nella mia giovinezza: ho fatto anche di queste sciocchezze, cioè di scrivere opuscoli sul metodo di studio con osservazioni di questo tipo.
Ma oltre queste osservazioni, nello stesso articolo ho potuto cogliere una distinzione importante tra "Studium" e "Universitas".
Posso dire che nell' antico concetto di Studium, il punto fondante risulta il desiderio e il piacere di trarre ricchezza da quello che si fa.
Nell’ Universitas, invece, si parla solo di gruppo e di organizzazione.
Cioè, nello Studium il problema è quello dell’"agio", della ricchezza e anche dell’agilità di movimento secondo la legge di natura.
L’agio è la possibilità di movimento tra un soggetto e l’altro. C’è agio,
significa che c’è possibilità di moto.
Invece, nell’ Universitas, dove studiare può fare male, c’è il "secchione" cioè quello che non si muove più per una legge, ma è quello che si muove per qualcos’altro.
Di fronte al disagio, cioè a quella mancanza di moto, il problema non è più quello della competenza individuale (distinguendo bene tra competenza e professionalità), ma diventa il problema di come deve essere aerato l’edificio, etc.
Lo Stato interviene come terapeuta ed è interessante che intervenga con i suoi sacerdoti di oggi, con una certa psicologia e con lo psicologo per ogni gruppo di tre classi di alunni, come si vede oggi.
In base a quello che ho sentito dire oggi, mi sembra che questo sia chiaro: lo stato si muove come terapeuta, cioè esattamente con quello che noi abbiamo detto essere impossibile a farsi: la pretesa di guarire, uno dei nostri impossibili.
Lo Stato sa intervenire solo in questo modo: è pure logico che sia così, stante che lo Stato non può supplire una competenza che non c’è.
La cosa incredibile vedendo che è dal medioevo che si lavora in questo modo, è che non si sia ancora arrivati a concepire che il punto è quello della competenza e che la competenza o è del soggetto o non è di nessun altro.
Là dove non c’è domanda, non ci può essere risposta.
Oggi la scuola e l’Università si muovono su delle risposte a delle domande che non ci sono.
Sembra paradossale che nessuno si sia accorto di questa cosa che è estremamente semplice.
|