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  La negazione - 1925

Per Freud il dire "non è mia madre" equivale a dire "mi è venuta in mente mia madre ma non voglio considerare valida questa associazione". A volte, chiedendo quale è la cosa più inverosimile in una certa situazione si può avere, sotto l'apparenza della negazione, il giusto chiarimento inconscio desiderato. "La negazione è un modo di prendere coscienza del rimosso". Importante è ciò che qui dice Freud circa i due tempi del giudizio: la funzione del giudizio è in un primo tempo quella di distinguere nel principio di piacere il "mi piace" dal "non mi piace" e in un secondo tempo quella di agire in modo tale che sia disponibile, accada, nella realtà dei rapporti, la realizzazione soddisfaciente del proprio desiderio (nel principio di realtà), con giudizio sulla degnità dell'altro. E' evidente in questi brani che Freud pone la questione dentro e fuori come questione di rapporto, rapporto tra il Soggetto ("il soggettivo, è soltanto dentro") e l' Altro (l'altro, il reale, è presente anche fuori"). E' qui chiarito, ed è fondamentale per capire qui Freud, che il "principio di realtà" non è che lo stesso principio di piacere (non ci sono opposizioni o sostituzioni: l'opposizione o la sostituzione nascono solo dalla condizione perversa di essere contro i rapporti negando la possibilità, nel reale, della soddisfazione) ritrovato e ri-attuato nel rapporto soggetto-altro, quindi nel reale, con soddisfazione. "Ritrovato" a partire dal primo atto soddisfacente: "allattandomi mia madre mi ha eccitato al bisogno di essere soddisfatto per mezzo di un altro" (felice espressione di G.B.Contri). Per questo in analisi "non si scopre alcun "no" proveniente dall'inconscio". La negazione proviene dall'io che misconosce l'inconscio.

"La negazione è un modo di prendere cosienza del rimosso, in verità è già una revoca della rimozione, non certo però un'accettazione del rimosso ... Negare alcunchè nel giudizio è come dire in sostanza: "questa è una cosa che preferirei rimuovere". La condanna è il sostituto intellettuale della rimozione, il suo "no" un contrassegno della stessa, un certificato d'origine." (vol. X pag. 198)

"La funzione del giudizio ha in sostanza due decisioni da prendere... La qualità... utile o dannosa" e "se una certa cosa, presente nell'io come rappresentazione, possa essere ritrovata anche nella percezione (realtà)... Il soggettivo è soltanto dentro; l'altro, il reale, è presente anche fuori... L'esperienza ha insegnato "che non è importante solo il fatto che una cosa (oggetto di soddisfacimento) possegga la qualità "buona", vale a dire meriti di essere accolta nell'io, ma anche il fatto che essa esista nel mondo esterno, di modo che ci si possa impadronire di essa secondo il proprio bisogno. Per comprendere questo progresso, è necessario ricordare che tutte le rappresentazioni derivano da percezioni, sono ripetizioni di esse. In origine dunque l'esistenza della rappresentazione è essa stessa una garanzia della realtà del rappresentato. Il contrasto fra soggettivo e oggettivo non esiste sin dall'inizio... Il fine primo e più immediato dell' "esame di realtà" non è dunque quello di trovare nella percezione reale un oggetto corrispondente al rappresentato, bensì di ritrovarlo", di convincersi che è ancora presente (la nota a questo proposito su OSF dice: "l'oggetto da ritrovare era il seno materno")... Il giudicare è l'azione intellettuale che decide la scelta dell'azione motoria, che pone un termine al differimento del pensiero e assicura il passaggio dal pensare al fare." (pag. 198-200)