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Analisi terminabile e interminabile - 1937

Si tratta di un fondamentale testo ricapitolativo della tecnica analitica.

1. "La terapia psicoanalitica... è un lavoro lungo e faticoso": il testo inizia così ed esplora i desideri e tentativi di accorciare l'esperienza del lavoro psicoanalitico.
Freud stesso, in alcuni casi, racconta di avere tentato di porre una scadenza precisa ai tempi della cura, per provare a smuovere le resistenze del paziente. Il metodo sembra efficace purchè "si sappia cogliere il momento giusto".
Si tratta di "un drastico espediente tecnico" dove "se si fa un passo falso non c'è più rimedio".

2. Ma esiste la "fine di un'analisi"?
Sul piano pratico esiste: quando non ci si incontra più in seduta. Ovvero:
a. il paziente ha superato sintomi, angosce, inibizioni,
b. lo psicoanalista giudica che la ripresa del materiale rimosso, il superamento delle resistenze, non rendano più probabile la malattia.
Comunque, sempre meglio non parlare di  "analisi non finita", bensì di "analisi non completa".
Ma c'è un secondo significato di "fine di un'analisi", più ambizioso: giudicare che il proseguimento dell'analisi non possa produrre ulteriori cambiamenti.
"Solo in casi di etiologia prevalentemente traumatica l'analisi può dare il meglio di sè... sostituire con una soluzione corretta la decisione inadeguata che è stata presa nel lontano passato": questa sarebbe un'analisi "definitivamente portata a termine", conclusa.
I sintomi nevrotici in realtà hanno una etiologia mista ("forza delle pulsioni" - "traumi antichi") e talvolta quindi non si ottengono risultati troppo ambiziosi: comunque "la via per corrispondere alle richieste sempre maggiori che vengono rivolte alla cura analitica non porta all'accorciamento della durata di quest'ultima, nè vi passa attraverso".

3. Sulla forza delle pulsioni: è possibile "imbrigliare" una pulsione?
Dipende dalla sua forza: tanto è vero che nella pubertà e nella menopausa, dove si rafforzano le pulsioni, si sviluppano particolarmente le nevrosi.
L'analisi lavora perchè l'io, reso più forte nel lavoro psicoanalitico, affronti "una revisione" delle antiche rimozioni costituite all'epoca in cui si era bambini: alcune vengono demolite, altre "ristrutturate con materiale più solido".
"La trasformazione riesce, ma spesso soltanto parzialmente": il fattore quantitativo rimane decisivo (ma come si vedrà non c'è solo quello).

4. Se dopo la guarigione da un "conflitto", sia possibile ricadere non nello stesso ma in un altro tipo di "conflitto".
"Per allettante che sia per l'ambizione terapeutica porsi compiti di questo genere, l'esperienza non può fare altro che respingerli con decisione".
L'analisi può solo trattare di conflitti attuali, non prevenire quelli futuri: in psicoanalisi non esiste prevenzione (e per questo, dice Freud, è inutile ogni pretesa di educazione sessuale).

5. Alterazione dell'io: ovvero il "discostarsi da un fittizio Io normale in grado di garantire una fedeltà incrollabile all'alleanza del lavoro analitico".
Il "patto analitico" è possibile solo con quella "finzione ideale" che chiamiamo "un Io normale" (l'io anomalo purtroppo non è una finzione).
I diversi gradi di alterazione dell'io, sono acquisiti dai primi anni della vita in cui l'io passa a difendersi non solo dai pericoli esterni ma anche da quelli interni attraverso dei "meccanismi di difesa" messi in atto a salvaguardia del principio di piacere (e "fa bene a comportarsi così").
Uno di questi meccanismi è la rimozione.
Il guaio è che queste azioni di difesa "sono condannati a falsificare la percezione interna e a consentirci soltanto una conoscenza difettosa e deformata del nostro Es", nei confronti del quale l'io si trova ad essere o "paralizzato" dai propri limiti o "accecato" dai propri errori.
Il prezzo pagato diventa troppo alto per "l'economia psichica": i meccanismi di difesa selezionati dall'io si fissano e diventano "abituali modalità di reazione del suo carattere che si ripetono nel corso dell'intera esistenza ogniqualvolta si ripresenta una situazione analoga a quella originaria".
L'alterazione dell'io, che a questi meccanismi corrisponde, interferisce con l'analisi, senza renderla impossibile, ma dandole due direzioni:
a. analisi dell'es (rendere cosciente qualcosa dell'es),
b. analisi dell'io (correzione degli errori dell'io).
I meccanismi di difesa assumono le forme della resistenza (anche la resistenza a rendere riconoscibili le resistenze): la guarigione stessa è avvertita come una possibile situazione di pericolo.
Lavorando sulle resistenze l'io si sottrae al "patto analitico": l'esito di un'analisi si scontra col "fattore quantitativo" delle resistenze in gioco.

6. Prima di tutto Freud sottolinea l'aspetto della imputabilità: essa consiste nel fare la "propria scelta fra tutti i possibili meccanismi di difesa... che rimangono poi sempre gli stessi".
Qualcosa di "ereditato" c'è ma in quanto è stato "acquisito" da altri: attenzione quindi a non contrapporre i due aspetti.
Si noti che questa eredità arcaica dei pro-genitori, non è eredità solo per l'es ma anche per l'io.
E, sottolinea Freud, "non si tratta da parte nostra di mistica sopravvalutazione dell'ereditarietà".
Segue il pensiero freudiano riguardo all'eros e a quella "sua partner" che è la pulsione di morte (la cui "cooperazione" e "contrasto" spiega le diverse manifestazioni dell'esistenza).
Viene citato Empedocle, con i suoi due principi di "amore" e "discordia" che, analogamente, agiscono ora l'uno ora l'altro per un fine comune.

7. E' più conveniente "non proporsi come meta di accorciare l'analisi, ma piuttosto di approfondirla".
Freud ora dirige l'attenzione sulle "caratteristiche peculiari dell'analista".
Gli psicoanalisti "hanno tutto il diritto di comportarsi come gli altri esseri umani": è solo chiesto "un notevole livello di normalità", "una certa qual superiorità" (per poter essere "maestro" e attuare una relazione a-simmetrica) e un "amore per la verità".
E' qui che Freud definisce la Psicoanalisi come uno degli "impossibili" (come educare e governare) "il cui esito insoddisfacente è scontato in anticipo".
Ed è qui che ribadisce la preparazione dello psicoanalista: l'analisi personale (che per motivi pratici "può essere soltanto breve e incompiuta" poichè il suo scopo principale è il giudizio sulla possibilità di un ulteriore lavoro) che dovrà dare "sicuro convincimento dell'esistenza dell'inconscio", attenzione al "rimosso", sperimentazione della "tecnica", capacità di ulteriore lavoro personale (compresa una "analisi interminabile" in cui, ogni circa cinque anni, lo psicoanalista si rifacesse oggetto di analisi).
Freud ci tiene a sottolineare che questo non significa che "l'analisi sia comunque un lavoro che non finisce mai": "la fine di un'analisi è, a mio avviso, un problema che riguarda la prassi".
Si tratta solo di poter riconoscere di avere "fatte le cose per bene": "l'analisi deve determinare le condizioni psicologiche più favorevoli al funzionamento dell'Io; fatto questo, il suo compito può dirsi assolto".

8. Due temi fondamentali: per la donna "l'invidia del pene" ("aspirazione positiva al possesso di un genitale maschile") e per l'uomo "la ribellione contro la propria impostazione passiva o femminea nei riguardi di un altro uomo".
Sostanzialmente, in entrambi i casi, "ciò che soggiace alla rimozione è l'elemento del sesso opposto".
Ma si nota anche (o sopratutto?) il comune rifiuto di "castrazione" e "rifiuto della femminilità" (ovvero rifiuto del modus recipientis).
La conclusione cui arriva Freud conforta anche in questa ultima interpretazione: il paziente fa resistenza, "non consente che si produca alcun mutamento",  fa resistenza a "ricevere" (è il verbo usato da Freud stesso) dall'analista anche la guarigione.
Nei confronti di questa decisiva resistenza nei confronti di questo "fattore", la psicoanalisi si consola della "certezza di avere fornito all'analizzato tutte le possibili sollecitazioni per riesaminare e modificare il suo atteggiamento verso di esso".